La Partenza
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Inferno Canto XXVI
Lo maggior corno de la fiamma antica
comincio' a crollarsi mormorando,
pur come quella cui vento affatica; (87)
indi la cima qua e la' menando,
come fosse la lingua che parlasse,
gitto' voce di fuori e disse: "Quando (90)
mi diparti' da Circe, che sottrasse
me piu' d'un anno la' presso a Gaeta,
prima che si' Enëa la nomasse, (93)
ne' dolcezza di figlio, ne' la pieta
del vecchio padre, ne' 'l debito amore
lo qual dovea Penelope' far lieta, (96)
vincer potero dentro a me l'ardore
ch'i' ebbi a divenir del mondo esperto
e de li vizi umani e del valore; (99)
ma misi me per l'alto mare aperto
sol con un legno e con quella compagna
picciola da la qual non fui diserto. (102)
L'un lito e l'altro vidi infin la Spagna,
fin nel Morrocco, e l'isola d'i Sardi,
e l'altre che quel mare intorno bagna. (105)
Io e ' compagni eravam vecchi e tardi
quando venimmo a quella foce stretta
dov' Ercule segno' li suoi riguardi (108)
accio' che l'uom piu' oltre non si metta;
da la man destra mi lasciai Sibilia,
da l'altra gia' m'avea lasciata Setta. (111)
"O frati", dissi "che per cento milia
perigli siete giunti a l'occidente,
a questa tanto picciola vigilia (114)
d'i nostri sensi ch'e' del rimanente
non vogliate negar l'esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente. (117)
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza". (120)
Li miei compagni fec' io si' aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti; (123)
e volta nostra poppa nel mattino,
de' remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino. (126)
Tutte le stelle gia' de l'altro polo
vedea la notte, e 'l nostro tanto basso,
che non surgëa fuor del marin suolo. (129)
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